L'amore reciproco

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da L'arte di amare
di Chiara Lubich



L'amore reciproco
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
(Gv 15,12-13)



L'unità: effetto dell'Eucaristia
La legge del Cielo
Le sue richieste
L'ha vissuta per primo
Un amore eroico
Martirio bianco
C'è amore e amore
Dare la vita
La perfezione dell'amore
Ravvivare i rapporti
Solo amarsi
La testimonianza da dare
L'abito dei cristiani
«Da questo conosceranno…»
Unità di pensiero
Amore reciproco fra i cristiani



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L'unità: effetto dell'Eucaristia


L'amore vero, l'arte di amare, al suo culmine, è amarsi a vicenda.

Amarsi a vicenda in modo tale da meritare il dono dell'unità. Perché l'unità noi non la sappiamo fare. Gesù ha pregato il Padre per l'unità, ma non l'ha comandata.

Noi possiamo fare la nostra parte, che è la parte ascetica, amarci, ma la parte mistica dell'unità, la presenza di Cristo in mezzo a noi, deve venire dal Cielo.

E noi, nella nostra pratica, abbiamo visto che l'unità è effetto dell'Eucaristia. È lì che si viene veramente deificati, ci si trasforma tutti in Dio (per partecipazione), si diventa uno in Lui.


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La legge del Cielo


Gemma, perla preziosa del Vangelo, è l'amore reciproco. Perché?

Lo si può spiegare con questo paragone: quando un emigrante si trasferisce in paesi lontani, ...si adatta certamente, per quanto deve, all'ambiente, ma vi porta spesso i propri usi e costumi; continua, per quanto può, a parlare la sua lingua, a vestire secondo la sua moda e, come si è visto spesso in passato, a costruire edifici simili a quelli della madre patria.

Così, quando il Verbo di Dio si è fatto uomo, si è adattato al modo di vivere del mondo, e fu bambino, figlio esemplare e uomo e lavoratore, ma vi ha portato il modo di vivere della sua patria celeste; e ha voluto che uomini e cose si ricomponessero in un ordine nuovo, secondo la legge del Cielo: l'amore reciproco, come si vive nella Santissima Trinità.

A conferma di ciò, Gesù ha detto che un comandamento gli è particolarmente caro e lo ha chiamato «mio» e «nuovo»: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34; cf. anche Gv 15,12).

I cristiani che per primi hanno conosciuto Gesù, o saputo di Lui, avevano compreso bene questo suo insegnamento. Infatti la gente pagana che li osservava, diceva di loro: «Guarda come si amano e l'uno per l'altro è pronto a morire»22.

E Gesù, parlando di questo comandamento, ha dato la misura del reciproco amore: occorre amarsi come Lui ci ha amato. «Amatevi - ha detto - come io ho amato voi» (cf. Gv 15,12).
Ma come Egli ci ha amato?

Lo ha fatto dando la vita per noi.

Così, per seguire Lui, anche noi dobbiamo essere pronti a dare la nostra vita per i fratelli.


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22. Cf. Tertulliano, Apologetico, 39,7.


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Le sue richieste


Non sempre ci è chiesto di dare la vita per gli altri sì da immolarla totalmente, come ha fatto Gesù. Ma, per amare veramente il prossimo, si devono vivere bene tutte quelle piccole o grandi "morti" che la carità vicendevole domanda: dimenticare se stessi, distaccarsi dalle cose, dai propri pensieri, dai propri interessi, per essere tutti proiettati negli altri: «farsi uno» con chi soffre, e diminuisce con ciò il dolore altrui, o «farsi uno» con chi gode, e si moltiplica la gioia.

È questo un vero morire. "Vivere per gli altri", "vivere gli altri", implica l'abdicare a se stessi, la morte spirituale di sé.

Quando poi si incomincia ad amare gli altri in questo modo e così si è pure riamati, si sperimenta di passare da un piano della vita dello spirito a uno superiore; si avverte uno scatto nella vita interiore.

Si conoscono, in maniera nuova, i doni dello Spirito: una gioia mai provata, una pace, una benevolenza, una magnanimità... Si acquista una luce nuova, che aiuta a vedere ogni avvenimento in Dio.

Nello stesso tempo, questo reciproco amore testimonia Cristo al mondo. Lo ha detto Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

Ed è l'inizio, come sappiamo, della rivoluzione cristiana, quella rivoluzione che i primi cristiani diffusero in tutto il mondo allora conosciuto per cui Tertulliano ebbe a dire: «Siamo nati ieri e abbiamo invaso il mondo»23.



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23. Cf. Tertulliano, Apologetico, 37,7.


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L'ha vissuta per primo


La volontà di Dio dei «tempi nuovi»24 Gesù non l'ha solo annunciata: l'ha vissuta fino in fondo.

L'amore totale a Dio e agli uomini, che Egli richiede agli altri, lo ha vissuto Lui prima di tutti. Il suo comportamento, il suo fare la volontà di Dio, è stato dare la vita per gli altri.

«Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13), è la Legge nuova nella quale dobbiamo camminare tutti noi.



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24. Con la venuta di Gesù (i «tempi nuovi» o «messianici») la legge antica («ama il prossimo tuo come te stesso», Mc 12, 31) viene portata a compimento e trova la sua massima espressione nel comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (Gv 13,34) [N.d.E.].


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Un amore eroico


Come deve essere il nostro amore perché sia conforme a quanto Gesù esige da noi?

Lo sappiamo: un amore che ha come misura la morte: essere pronti a morire per gli altri, per ogni prossimo.

Un amore eroico dunque: niente di meno. Questa è la carità: «…come io ho amato voi». Ed è proprio in un simile amore, concepito e vissuto in questa maniera, che troviamo la via per santificarci nella vita.


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Martirio bianco


L'amore reciproco, così come Gesù lo chiede, comporta un vero martirio. Esso infatti domanda di amarci tra noi fino al punto di essere pronti a morire l'uno per l'altro.

E questo è martirio, un martirio bianco, se vogliamo, ma vero, perché domanda la vita. È un martirio quotidiano, anzi, di momento per momento.

Forse, nonostante tutta la nostra buona volontà, non l'abbiamo vissuto proprio così.

Ma solo in tal modo siamo veri cristiani, raggiungiamo la perfezione, appunto come i martiri; e con essa l'unione con Dio, la presenza piena di Cristo in noi.


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C'è amore e amore


Cercando di amare Dio e i fratelli ho compreso come noi cristiani siamo veramente noi se amiamo, e cioè se non pensiamo a noi stessi ma a Dio, alla sua volontà, che è soprattutto questa: che amiamo il prossimo.

Dio ci domanda questo: per essere, per essere veramente noi, per "realizzarci" come cristiani, dobbiamo "non essere", vivere fuori di noi, vivere, per così dire, "estatici". Vivere non la nostra volontà, ma quella di Dio. Vivere il fratello. Allora siamo veramente noi.

Ho cercato anch'io di vivere così, di amare. Ma mi sono resa conto che c'è amore e amore.

Ho visto che avere una certa comprensione degli altri, interessarci un po' ai loro dolori, cercare di portare in qualche modo i loro pesi, amare, insomma, così così, non basta per essere come Gesù ci vuole. Dio domanda a noi un amore, atti d'amore che abbiano (almeno nell'intenzione e nella decisione) la misura del suo amore: «Amatevi - ha detto - come io vi ho amato» (Gv 13,34).

Occorre perciò essere sempre pronti a morire per il fratello, e quanto facciamo, momento per momento, per dimostrargli concretamente il nostro amore, deve essere animato, sostenuto da questa volontà, da questa decisione.
Solo un amore così piace a Gesù: non un qualche amore, non una patina d'amore, ma un amore così grande da mettere in gioco la vita.

Amando così si vive completamente "fuori di noi", si abdica interamente a noi stessi e, se siamo in più di uno ad agire così, si può sperare di abdicare in favore del Risorto, che potrà vivere fra noi. Egli, infatti, non si fa pienamente presente dove c'è un po' d'amore, ma dove si è uniti nel suo nome, e cioè in Lui, secondo la sua volontà che è amare come Lui ha amato.


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Dare la vita


Non basta per un cristiano essere buono, misericordioso, umile, mansueto, paziente... Egli deve avere per i fratelli la carità.

Ma la carità - può obiettare qualcuno - non è forse essere buoni, misericordiosi, pazienti, saper perdonare?

No: la carità ce l'ha insegnata Gesù. Essa ci fa morire per gli altri.

Morire. Non solo essere pronti a morire. Ma proprio: morire. Morire spiritualmente, rinnegando noi stessi per "vivere gli altri". O anche morire fisicamente, se occorre.

La carità infatti non è solo prontezza a dare la vita. È dare la vita.


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La perfezione dell' amore


San Giovanni, nella sua prima lettera, ha questa bellissima e incoraggiante espressione: «Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore in noi è perfetto» (1Gv 4,12).

Ma se il suo amore in noi è perfetto, e finché il suo amore in noi è perfetto, siamo perfetti.

La perfezione dell'amore si ha, dunque, nell'attuare l'amore reciproco.


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Ravvivare i rapporti


Come in un caminetto acceso occorre di tanto in tanto scuotere la brace perché la cenere non la copra, così è necessario, di tempo in tempo, ravvivare di proposito l'amore reciproco fra noi, ravvivare i rapporti, perché non siano ricoperti dalla cenere dell'indifferenza, dell'apatia, dell'egoismo.


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Solo amarsi


Viviamo in profondità l'amore reciproco, perfezionandolo ogni giorno, sì da creare un tale clima da potercelo dichiarare sempre, in ogni attimo.

Ma l'ottimo sarebbe che vivessimo quest'amore in una maniera particolare: come non avessimo nient'altro da fare. Perché il resto viene da sé: l'amore illumina e illumina bene su ogni altro nostro dovere.

Dunque, non pensare ad altro. Pensare solo ad amarci fra di noi. Proviamo a far così tutto il giorno. È un'esperienza che va fatta. A sera ci troveremo cambiati; magari stanchi, ma con un nuovo entusiasmo per la meravigliosa divina vita che Dio ci ha dato; e un fuoco in cuore che brucerà, letteralmente.


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La testimonianza da dare


«Amatevi a vicenda». È la vocazione di ogni cristiano.

Fanno pensare le parole che si dicevano dei primi cristiani: «Guarda come si amano e l'uno per l'altro è pronto a morire»25.

Dunque si vedeva che ognuno era pronto a morire per l'altro. Forse ciò dipendeva dal fatto che, in tempo di persecuzione, non era raro il caso che qualcuno si offrisse a morire per l'altro. Restava tuttavia il fatto che, questa misura di amarsi fra i cristiani, si vedeva.

A noi, in genere, non è chiesto proprio di morire. Tuttavia dobbiamo essere pronti. Ogni nostro atto di amore reciproco va fatto su questa base.

Alziamo il termometro della nostra reciproca carità. Che anche un semplice nostro sorriso, o un gesto, o un atto d'amore, o una parola, o un consiglio, o un apprezzamento, o una correzione a suo tempo, rivolti ai fratelli, rivelino la nostra prontezza a morire per loro. Che si veda il nostro amore, non certo per vanità, ma per garantirci l'arma potente della testimonianza.

Spesso anche noi, come i primi cristiani, siamo in un mondo senza Dio, scristianizzato. Dobbiamo, dunque, testimoniare Gesù e lo possiamo fare nel migliore dei modi con il nostro reciproco amore.


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25. Cf. Tertulliano, Apologetico, 39,7.


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L'abito dei cristiani


Alle volte, Signore, nelle vanità ambulanti per le vie della città, tra la frivolezza e la superficialità, la tristezza e la fretta dell'uomo, d'ogni uomo che passa, il silenzioso angelico passaggio d'una Piccola Sorella di Foucauld26 nel suo aspetto decisamente dimesso, dice ancora alle nostre anime l'ideale del suo fondatore, che "gridò" il Vangelo con la sua vita. E rinasce allora in noi più veemente il desiderio di "dirti" anche noi, di "gridarti" pure noi...

Ma come possiamo, col nostro solo passaggio, "darti" al mondo, "dirti" al mondo, testimoniarti, predicarti, noi che vestiamo come tutti, che ci confondiamo ora con tutti come Maria al suo tempo, come Gesù? Da che potranno conoscerti?

E nuova pullula dal cuore l'evangelica risposta, la tua soluzione al nostro quesito: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). Ecco l'abito dei cristiani comuni che vecchi e giovani, uomini e donne, sposati o meno, adulti e bambini, ammalati o sani possono indossare per gridare dovunque e sempre, con la propria vita, Colui nel quale credono, Colui che vogliono amare.


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26. Charles de Foucauld (1858-1916) noto convertito francese, che visse come eremita in Algeria molti anni dando origine ad una spiritualità fondata sull'imitazione della vita di nascondimento di Gesù e di tutta la Sacra famiglia a Nazareth. Ad essa si ispirano le congregazioni delle Piccole Sorelle di Gesù di Charles de Foucauld, dei Piccoli Fratelli di Gesù e altri istituti [N.d.E.].


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«Da questo conosceranno...»

Mi ha fatto sempre impressione: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). «Se avrete amore...». E dunque quando manca questo elemento nel cuore, nell'anima... non conosceranno. Quante volte ci lasciamo prendere da tante cose, anche belle, ma tutto ciò facciamo senza aver amore verso chi vive accanto a noi!

Eppure questo, e questo solo, è il cristianesimo, e sottolineare questo è la rivoluzione che noi cristiani dobbiamo portare.


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Unità di pensiero


Un ulteriore effetto dell'amore reciproco vissuto con radicalità è l'unità di pensiero. L'amore reciproco porta, infatti, non solo a un sol cuore, ma ad una sola mente.

Essere «un'anima sola» consiste nell'avere un medesimo modo di sentire, un solo modo di pensare, che è quello di Gesù. Se si è incorporati in Cristo, se si è Lui, avere divisioni, pensieri contrastanti, è dividere Cristo.

L'amore reciproco fra i primi cristiani, che porta a un solo pensiero, non era solo un consiglio, ma una vera accorata richiesta. Paolo scriveva: «Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano tra voi divisioni, ma siate perfetti nello stesso pensiero e negli stessi intenti» (1Cor 1,10).

Naturalmente questa concordia si otteneva e si ottiene anche ora, mediante la comunione. Occorre quell'amore scambievole che fa scaturire in mezzo a noi la presenza di Gesù (cf. Mt 18,20).

Se, però, per avere l'unità di pensiero tra i primi cristiani ci fosse stato il pericolo di rompere la concordia, veniva consigliato di cedere le proprie idee purché la carità fosse mantenuta. Paolo scriveva ai romani: «Accogliete tra voi chi è debole nella fede, ma non per discuterne le opinioni» (Rm 14,1). Egli non voleva che per una cosa di poco conto, per un diverso modo di ragionare, venisse a mancare la carità. Una delle qualità infatti che Paolo sottolinea per la carità reciproca, è la sopportazione.

Così avviene anche oggi: pur essendo, a volte, convinti che un dato modo di pensare è il migliore, il Signore ci suggerisce, pur di salvare la carità con tutti, che è meglio a volte cedere le proprie idee, è meglio il meno perfetto in accordo con gli altri, che il più perfetto in disaccordo. E questo piegarsi piuttosto che rompere è una delle caratteristiche, forse dolorose, ma anche più efficaci e benedette da Dio, che mantiene l'unità secondo il più autentico pensiero di Cristo, e di conseguenza ne sa apprezzare il valore.


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Amore reciproco fra i cristiani


Occorre che anche le Chiese si amino a vicenda: «L'amore con il quale mi hai amato sia in essi - ha chiesto Gesù al Padre -, e io in loro» (Gv 17, 26).

E noi, purtroppo, abbiamo dimenticato il suo testamento, abbiamo scandalizzato, con le nostre divisioni, il mondo, al quale dovevamo annunciare Lui. E perciò ogni Chiesa nei secoli è, in certo modo, rimasta arroccata sulle proprie posizioni dottrinali, senza aperture o possibilità di incontro con le altre.

Ma è tempo, oggi, per ognuna delle nostre Chiese, di un supplemento di amore; occorre anzi che la cristianità intera venga invasa da una fiumana d'amore.

Amore e amore reciproco, dunque, fra le Chiese. Quell'amore che porta a mettere tutto in comune, rendendo ognuna dono per le altre, cosicché si possa prevedere nella Chiesa del futuro che la verità, una e una sola sarà espressa in varie maniere, osservata da varie angolazioni, abbellita da molte interpretazioni.



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